Ormai Georgia Meloni è una fuoriclasse. Se ne sono accorti anche i suoi detrattori. E’ difficile contrastarla sul piano dei contenuti. Ha sempre una risposta sensata, è sempre preparata. Anche i giornalisti che agitavano la solfa del fascismo, pare si siano arresi. Il rap della Meloni donna, madre, cristiana l’ha lanciata finanche nelle classifiche. Scala le vette del consenso ed appare coerente con le proprie idee, aspra nella battaglia politica, ma corretta. In Italia è l’unica leader donna di un partito, oggi è capo dei conservatori europei. Come direbbe Vittorio Feltri, il suo femminismo è fattuale al contrario della mera propaganda di sinistra naufragata, ultimamente, anche sulla parità di genere. Le donne del Pd non hanno avuto nessun ministero e possono dirsi pure più fortunate delle assistenti parlamentari della Boldrini.
Georgia Meloni è una politica di professione, ma vecchio stampo. Di quelle che hanno fatto la gavetta, che hanno preso i voti sui territori, che hanno militato nel movimento studentesco e giovanile. In realtà, il movimento giovanile di Alleanza Nazionale, ai tempi si chiamava “Azione giovani” era già guidato dalla Meloni che, negli anni novanta, era leader di migliaia di giovani italiani. E’ di quelle che hanno fatto la trafila al Comune, alla Regione, poi in Parlamento e nei ministeri. Ha consensi personali, parla tre lingue oltre l’italiano ed ha un marcato accento romanesco che la tiene aggrappata alle sue radici popolari e orgogliosamente popolane. Resta legata al suo territorio da dove certamente è emersa, ma evita gli aperitivi a piedi nudi sui prati di Cernobbio, tra boiardi di stato, lobbisti e finanzieri nel mirino della Tributaria.
La Meloni è capo di un partito strutturato su ampia parte del territorio, come si faceva una volta: la sezione, la segreteria provinciale (quella che i militanti chiamavano federazione), un coordinamento regionale e poi organi di partito, assemblee, direzioni, congressi. C’è tutto, manca una sola cosa, o almeno manca in Campania: il coraggio. Insomma, Fratelli d’Italia si, ma non fratelli Campani.
Alla Georgia nazionale manca la voglia di scendere nell’abisso campano e rifondare il partito. Manca la forza di dare il benservito agli storici militanti e politici ex missini, ex finiani, taluni con una rispettabile storia di battaglie, ma con il fardello di una serie di sconfitte elettorali per le quali mai si è fatta una seria analisi.
Le sconfitte del centrodestra non sono colpa della Meloni, perché in Campania le croste di Forza Italia sono difficili da rimuovere, però Georgia non lotta, si affida ai suoi vecchi militanti e perde.
Napoli non ha mai avuto un sindaco di centrodestra. La destra ha governato la Regione per pochi anni, con quell’autentico e fiero galantuomo che era Antonio Rastrelli, poi è stata la volta del centrodestra con Stefano Caldoro al quale manca la leadership, il partito ed i consensi.
Alle ultime regionali un’intera classe dirigente è stata spazzata via dal lanciafiamme di De Luca che ha inglobato e distrutto larga parte dei saltimbanchi centristi arrivati dal centrodestra.
Fratelli d’Italia è uscita malissimo dalle urne. Eppure vincere contro De Luca sarebbe stato facile se si fosse costruita una piattaforma valoriale rappresentata dalle migliori energie campane e da una nuova classe dirigente competente.
Invece, la Meloni, così come faceva Fini, ha preferito giocare la partita nazionale, come se la Campania fosse un caso perso. Una pedina sacrificabile. In realtà ha anche avuto ragione, perché ha piazzato il Presidente nelle Marche, ma è stata strategia politica contingente.
Forse la Meloni ha anche paura di trovarsi tra i piedi qualche personaggio che puzza di camorra, come spesso accade da queste parti, ma non è un buon motivo. Sarebbe naturale pure lasciar perdere, evitare pericoli ed inciampi elettorali, ma una leader della caratura della Meloni non può pensare di lasciare la terza o quarta regione d’Italia al suo destino anche perché sotto al Vesuvio si gioca il destino dei grillini e dunque il destino della prossima legislatura.
Maggiore forza attrattiva avrà la Meloni in Campania, minore sarà la percentuale nazionale dei grillini che ormai esistono solo al sud grazie al reddito di cittadinanza. Una volta c’era l’arte di arrangiarsi, oggi manco ci si arrangia più; i soldi arrivano puntuali sulle schede gialle dei nullafacenti mentre le partite Iva non dormono la notte. Certo se imprenditori e professionisti scendessero in piazza avrebbero un maggior peso politico, ma questa è un’altra storia.
Le partite Iva che la mattina si svegliano male dopo il turbamento delle notti insonni, le mamme, le donne, i cristiani, i cittadini onesti, i padri di famiglia separati, i liberi professionisti bistrattati (come gli avvocati), i giovani studenti, insomma tutta la dignitosa spina dorsale della Campania frustrata dalla burocrazia e dalla beffa del reddito grillino, attendono un partito, un leader ed una classe politica capace di rappresentarla. Non ce ne voglia la Meloni, ma gli ex militanti missini e finiani o peggio i figli, le compagne, i nipoti delle “vecchie glorie” non hanno alcuna credibilità nemmeno tra gli elettori storici della destra campana. E soprattutto perdono sempre.
Fratelli d’Italia, in Campania dove la Lega non attecchisce, con Forza Italia in liquidazione, avrebbe praterie di consenso. Allora Giorgia deve accettare la sfida e prendere le redini del partito, deve cambiare tutto e tutti, deve selezionare una vera classe dirigente, nomi nuovi, gente riconosciuta nel mondo del lavoro e della cultura, giovani capaci. Deve investire sul capitale umano campano, senza paura di perdere i consensi tra militanti che non hanno nemmeno più elettori.
Venga in Campania, apra le finestre, cambi l’aria al partito. C’è un panorama stupendo ed un mare di consensi che attendono di essere rappresentati.