Ruolo istituzionale avrebbe imposto al solo ministro degli esteri Luigi Di Maio, la presenza in Libia in occasione della liberazione dei 18 pescatori sequestrati senza un perché e tenuti prigionieri per ben 108 giorni dal generale Haftar. Si tratta di 8 italiani, 6 tunisini, 2 indonesiani e 2 senegalesi partiti da Mazara del Vallo per una battuta di pesca, abbordati da due motovedette libiche nonostante si trovassero in acque internazionali, e quando un elicottero della Marina Militare Italiana avrebbe potuto intervenire (sarebbe bastato sparare qualche raffica in mare), un ordine da Roma impedì l’intervento dei militari italiani. Un comportamento che avrebbe portato, in un Paese normale, come minimo, ad una apertura di una inchiesta su chi ha dato quell’ordine, e invece, per l’ennesima volta, dopo il caso Regeni e ultimamente anche per il caso Patrik Zaki, lo studente egiziano arrestato in Egitto, il governo italiano ha mostrato ancora la propria assoluta inconsistenza e irrilevanza in campo internazionale.
E si tenga conto che parliamo di una sola parte della Libia, quella sotto il comando del generale Haftar, una milizia paragonabile a Boko Haram, che prende ordini solo dal francese Macron. Dai Goumier di Alphonse Pierre Juin ai miliziani di Haftar e Macron di oggi, poco sembra essere cambiato.
Bisogna pertanto accontentarsi di veder liberato l’equipaggio dei due pescherecci sequestrati in modo illegale. E pazienza se si è dovuto aspettare ben 108 giorni per consentire al premier “Giuseppi” Conte la “passerella” natalizia per la storiaccia che abbisognava necessariamente di un lieto fine, “ad orologeria”.