Il generale Soleimani è diventato il martire per eccellenza per via della sua uccisione a Baghdad a causa di un drone americano, figura attorno la quale
Teheran può ricompattare un paese estremamente diviso internamente.
La mossa statunitense rischia di dara una scossa destabilizzatrice i cui effetti si ripercuoteranno ben oltre i confini iraniani.
Donald Trump ha supervisionato l’operazione che ha portato alla morte di Soleimani, Abu Mahdi al Muhandis e degli altri militari presenti nel convoglio in transito nei pressi dell’aeroporto di Tehran.
L’attacco sarebbe stato scatenato come reazione all’esplosione di violenza di qualche giorno prima avvenuta a Baghdad, dove l’ambasciata americana è stata messa sotto assedio da miliziani iracheni collegati all’Iran, culminata nella morte di un contractor statunitense.
Già nella giornata precedente la morte di Soleimani il segretario alla difesa Mark Esper aveva preannunciato la possibile risposta alle provocazioni iraniani con attacchi preventivi.
La giustificazione ufficiale fornita dalla Casa Bianca è quella della “difesa preventiva” contro attacchi ad obiettivi americani che il generale Soleimani insieme ad i suoi collaboratori pianificava in Iraq.
Un’accusa per quanto plausibile non verificabile, di conseguenza la sua valenza giuridica è messa fortemente in discussione. Agnes Callimard difensore dei diritti umani del ONU ha specificato che: gli omicidi mirati, attraverso l’utilizzo di droni, non trovano giustificazione del diritto internazionale umanitario. Questa circostanza infatti crea un pericoloso precedente al quale altri paesi potranno far ricorso in futuro per giustificare le proprie azioni contro altri paesi.
Quest’azione intrapresa dagli Stati Uniti, gravida di rischi e difficilmente giustificabile, può essere soltanto frutto di strategie e calcoli di politica interna ed estera.
Da una parte l’uccisione di colui che rappresentava il numero due della gerarchia iraniana da oltre vent’anni, è sicuramente un successo per Trump che potrà utilizzare anche in campagna elettorale, d’altro canto però, gli Stati Uniti non sembrano avere le capacità necessarie a rispondere ad un eventuale reazione iraniana
Così facendo gli stati uniti avrebbero ripristinato la loro politica di deterrenza che era andata affievolendosi negli ultimi mesi a seguito del disimpegno dal fronte siriano a vantaggio della Turchia e implicitamente dell’Iran. Tuttavia gli iraniani questa volta non sembrano disposti a negoziare, ciò ha portato ad un’escalation di tensione tra i due paesi.
A farne le spese è stato anche e soprattutto l’accordo sul nucleare (JCPOA), già indebolito dall’uscita USA che hanno ripreso a sanzionare l’Iran, poi ulteriormente indebolito dalla ripresa graduale delle attività nucleari iraniane in risposta alla pressione Usa, e ora definitivamente appeso a un filo.
Ovviamente la Repubblica Islamica ha promesso che la morte di Soleimani non rimarrà impunita, infatti grazie a miliziani attivi nel in tutto il Medio Oriente e alle capacità dell’Iran di condurre una “CyberWar”, l’Iran possiede la capacità di colpire obiettivi americani in Medio Oriente.
Come risultato principale di questa situazione pregna di incognite, è che la regione dovrà affrontare l’ennesima ondata destabilizzante che rischia di far crollare i risultati raggiunti negli anni precedenti, a soffrirne più di tutti sarà il fragile Iraq destinato a rimanere terreno di confronto tra Usa ed Iran.